Gino Severini (Cortona, 7 aprile 1883 – Parigi, 26 febbraio 1966) è stato un pittore italiano che ha saputo unire scienza ed arte, rigore costruttivo e fantasia inventiva, raggiungendo la più completa felicità espressiva quando, tra il 1910 ed il 1915, innestò i valori dinamici del futurismo su quelli costruttivi del cubismo.Nato a Cortona, giunse sedicenne a Roma.  Qui Giacomo Balla lo avviò alla pittura divisionista che approfondì a Parigi a partire dal 1906 (Primavera a Montmartre, 1909). Fu tra i firmatari nel 1910 del Manifesto del futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti. A Parigi fu a contatto con Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris e Guillaume Apollinaire, e partecipò al nascere e allo svilupparsi del cubismo. Nel 1913 sposò Jeanne, la figlia del poeta Paul Fort, da cui nasceranno tre figli: Gina (1915), Romana (1937) e Jaques (1927-1933) morto prematuro.Fra l’ottobre 1917 e l’agosto 1918 pubblicò una serie di articoli dal titolo La Peinture d’avant-garde nella rivista De Stijl. Theo van Doesburg ha definito lo stile di Severini psychisch kubisme (in italiano: cubismo psichico).

 

Trasferitosi a Parigi nel 1906 per studiare la pittura d’oltralpe degli impressionisti e dei post-impressionisti, Severini conosce molti dei maggiori esponenti delle avanguardie artistiche della capitale francese, tra cui Paul Signac, Georges Braque, Juan Gris, Amedeo Modigliani, Pablo Picasso, e i poeti Guillaume Apollinaire, Paul Fort e Max Jacob. Nonostante questa permanenza a Parigi, non interrompe i suoi contatti con l’Italia. Infatti, dopo aver aderito al movimento Futurista su invito di Filippo Tommaso Marinetti, è uno dei firmatari nel 1910 del manifesto della pittura futurista insieme a Balla, Boccioni, Carrà, e Russolo. Nel 1912 sollecita Umberto Boccioni e Carlo Carrà a raggiungerlo a Parigi dove, organizza la prima mostra dei futuristi presso la Galleria Bernheim-Jeune. In seguito partecipa alle successive esposizioni futuriste in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1913 a Londra, presso la Marlborough Gallery, è allestita la sua prima mostra personale, che successivamente viene presentata alla galleria Der Sturm di Berlino. Durante questo periodo parigino, Severini svolge un importante ruolo di collegamento fra gli ambienti artistici francesi ed italiani, in particolar modo tra sensibilità cubiste e futuriste. Frequentatore di cabaret, Severini rappresentò in modo molto efficace ed originale quel mondo notturno di luci e danze in capolavori come La danza del pan pan al Monico (1911), Geroglifico dinamico del bal tabarin e Ballerina in blu (1912), giungendo a una visione caleidoscopica in cui spazio e tempo, presente e passato, insieme e particolare si fondono in una festa di luci e colori.

Souvenirs de Voyage, 1911 (Collezione privata)

“Manifesto del Futurismo”

Il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti,   lancia il suo primo appello attraverso il giornale francese Le Figaro. Nel Manifesto del Futurismo, il linguaggio è costellato di metafore, assonanze, immagini che evocano il piacere individuale della sensazione. È lo stesso stile che ritroviamo ancora in un altro testo di Marinetti. Marinetti, nello slancio di liberazione dagli stilemi e dalle trasposizioni simboliste sulle quali si è lungamente formato ed educato negli anni dei suoi studi, ritorna a quel linguaggio come punto di partenza per fondare la nuova estetica della vita moderna e della macchina «adorata e considerata come simbolo, fonte e maestra della nuova sensibilità artistica». Già nel Manifesto de Le Figaro viene designato tutto ciò che rientra nella volontà di distruzione. Musei, biblioteche, «città venerate», accademie fanno da freno e ostacolano ogni nuova creazione o azione nata dalla «bellezza della velocità». Il passatismo, termine opposto a Futurismo, contro il quale inizia la sua battaglia Marinetti, rappresenta tutto quello che è stato prodotto dalla cultura tradizionale, accademica, del passato.

Filippo Tommaso Marinetti ed il manifesto del Futurismo

Il 20 febbraio 2009 il suddetto Manifesto ha compiuto 100 anni e anche se, in qualche modo, il movimento futurista è considerato “morto”.  Sai cos’è buffo? Che le opere di Balla, Boccioni, Carrà etc… vivono e vengono ogni giorno ri-scoperte nei musei che loro stessi volevano radere al suolo, così come si asserisce nel testo stesso del Manifesto (non pensare all’ideologia fascista, non pensare al significato letterale di certi “arditi” passaggi MA contempla lo scritto nel suo delirante lirismo).

Manifesto del Futurismo
  1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

  2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

  3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

  4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.

  5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

  6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

  7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.

  8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

  9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

  10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.

  11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le marce multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.

Danseuse Articulem

Danseuse articulée, 1915

Dal Cubofuturismo al Classicismo

Dal 1921, in cui pubblica il trattato “Du cubisme au classicisme” (Dal cubismo al Classicismo), Severini passa da un’estetica “cubofuturista” ad una pittura che si può definire “neoclassica” con influenze metafisiche, dimostrandosi buon termometro di un sentire diffuso in tutta Europa dopo il grande trauma del primo conflitto mondiale. Questo evoluzione classicista, rientra pienamente in quella tendenza, al suo interno molto variegata (che va da Picasso, a Derain, a De Chirico), che viene definita “ritorno all’ordine”, o in francese “rappel à l’ordre” (richiamo all’ordine), propensione analoga a quel “ritorno al mestiere”, introdotta da un famoso articolo di Giorgio De Chirico pubblicato nel 1919 nella rivista “Valori plastici”. Dal 1924 al 1934, anche a seguito di una crisi religiosa, si dedica quasi esclusivamente all’arte sacra in grandi affreschi e mosaici, in particolare per le chiese svizzere di Semsales e La Roche. Nel 1923 è presente alla Biennale romana e in seguito partecipa a due mostre del movimento artistico Novecento a Milano (1926 e ’29) ed una a Ginevra (1929). Nel 1930 è selezionato per la Biennale di Venezia. Si trasferisce a Roma, dove partecipa alla Quadriennale nel 1931 e nel 1935, anno in cui vince il Gran premio per la pittura, presentando un’intera sala a lui dedicata. Tornato a Parigi, dove realizza una grande decorazione per l’Esposizione Universale, alterna soggiorni tra la Francia e Roma.

Ballerina Blu, 1912

Il secondo dopoguerra e il ritorno al Futurismo

Nel secondo dopoguerra, ritorna ai soggetti del suo periodo Futurista, riscrivendo in chiave di decorativismo astratto alcune delle proprie opere futuriste. Nel 1949-1950, Severini aderisce al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l’opera “Simboli del lavoro”. La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì. Si trasferisce definitivamente a Parigi, dove avrà una cattedra di mosaico con Riccardo Licata come assistente.Il 26 febbraio 1966 muore nella sua casa al n. 11 di rue Schoelcher. Il 15 aprile dello stesso anno le sue spoglie vengono traslate a Cortona, sua città natale.

 

Un artista Capace

Severini si spinga fino a sperimentare l’astrazione, mentre nell’ultimo decennio compie una sorta di viaggio a ritroso del proprio cammino pittorico, pur annunciando i nuovi fermenti dell’arte europea. Racconta Daniela Fonti che la mostra di Parigi avrebbe dovuto essere sottotitolata: «il più francese dei pittori del Novecento». Un ulteriore piccolo segnale, rivisitato in chiave gallica, di come Severini sia stato per tutta la vita un artista dalla profonda vocazione internazionale. Non solo per la Francia; è lui che autonomamente si organizza la prima esposizione di un pittore futurista a New York, tenendo tranquillamente testa al dittatoriale Marinetti (e con un successo commerciale enorme, vendette quasi tutto). Lo stesso aveva già fatto a Londra. Internazionale è pure il suo collezionismo. E se Piero D’Orazio affermava: «Nella pittura moderna siamo ripartiti andando a cercare Balla e Severini», bisognerà davvero riconsiderare la sua importanza per tutta l’arte del secolo scorso.